Quando si individua un oggetto di passione, si stabilisce una fitta ragnatela di sentimenti che è più simile ad una relazione amorosa che a ciò che in fin dei conti (nel caso di Massimo) è uno studio rigoroso teso a sfondare il campo visivo da interventi non determinanti.
Puppi vive questa relazione con il fare pittorico in cui è al tempo steso, sedotto e seduttore.
La scelta delle tecniche espressive ed il loro impiego, intende inseguire e fermare sulla tela un dialogo interiore che è modulato da più registri, che contribuiscono a tessere la trama stilistica che è davanti a chi osserva: a prima vista, siamo colpiti da questi filiformi omini che si ripetono con l'insistita regolarità di un carattere tipografico, in seguito notiamo il comparire di oggetti stilizzati e/o piccole foto modificate da interventi grafici che sottolineano il genius loci di Massimo, che diventa teatro di una quotidianità, che nonostante il rischio di convenzionalità oleografiche, concreto se riferito a Venezia, rifugge da qualsiasi untuosità turistica; tale "Catastrofe Semantica" è scongiurata dall'artista, in quanto la sua venezianità non si riduce a ruffiana convenienza bottegaia, ma è il sedimento di un amore verso il suo luogo d'origine, corroborato da lealtà e gratitudine.
Successivamente affiorano gli arpeggi cromatici preziosi eppur discreti, frutto di un magistero scolastico curioso e non subito, ma soprattutto di un'onnivora e famelica frequentazione dei luoghi e della storia dell'arte, soprattutto veneziana, che ha sempre animato l'orizzonte culturale di Puppi.
Ma, come capita in tutti gli operati artistici di qualità, la gemma più preziosa è visibile solo a pochissimi, e consiste nella risultante di quelle qualità che prima di fare il pittore Puppi, fanno l'uomo Puppi. L'onestà intellettuale e la lealtà con cui Massimo intesse i suoi rapporti umani, industrioso formicaio profumato di vita.
Raimondo Squizzato
Venezia, 18 gennaio 2010